Il nuovo dossier del Servizio Studi della Camera conferma quanto già denunciato da tempo: l’Italia procede con il freno tirato sulla transizione energetica. Mentre l’Unione europea ha alzato l’asticella al 42,5% vincolante di consumi da rinnovabili entro il 2030 (con un obiettivo tendenziale del 45%), l’Italia, nel Piano nazionale energia e clima aggiornato (PNIEC 2024), si è fermata a un 39,4% complessivo, con performance ancora più basse nei dati effettivi del 2023, quando i consumi da rinnovabili si sono fermati al 19,6%.
Il settore elettrico segna una quota del 38,1% di copertura, lontano dal 63,4% previsto al 2030. Ancora più in ritardo i trasporti (10,3% nel 2023 contro l’obiettivo del 34,2%) e il termico (21,7% rispetto al target 35,9%). In questo quadro si inserisce la sfida cruciale dell’idrogeno verde, che l’Europa ha indicato come pilastro strategico per decarbonizzare l’industria “hard to abate” e i trasporti a lungo raggio. L’Italia si è impegnata a raggiungere una quota del 42% di idrogeno rinnovabile nell’industria entro il 2030 e del 60% entro il 2035. Per farlo serviranno circa 3 GW di elettrolizzatori e una produzione dedicata di 10 TWh di energia solare.
Eppure, anziché puntare su questo volano di sviluppo industriale e ambientale, il Governo Meloni ha scelto la via più miope: accusare le rinnovabili di essere “costose”, rallentare gli iter autorizzativi e bloccare la crescita di fotovoltaico ed eolico proprio quando servirebbe una corsa, non una passeggiata. In realtà, i costi oggi non stanno nelle rinnovabili, che sono sempre più competitive, ma nei ritardi e negli ostacoli posti a favore delle multinazionali fossili, che continuano a scaricare sulla collettività i danni ambientali e sanitari del loro modello di business.
Il risultato? Ancora una volta i cittadini pagano due volte: in bolletta e in salute. Le lobby, invece, festeggiano: prima con l’oro nero, oggi con il “nuovo business” dell’idrogeno che rischia di diventare un’ennesima rendita privata a spese pubbliche, se non si garantisce una reale equità nella transizione.
La sfida per il futuro non è fermare la transizione per “non disturbare il manovratore”, ma accelerarla chiedendo conto a chi inquina. L’Italia può e deve scommettere sull’idrogeno verde e sulle rinnovabili, facendo pagare i costi non ai cittadini, ma a chi da decenni guadagna inquinando.